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Una cosa cui è successo qualcosa

 
    INTRODUZIONE ALLA CURARTE

Sono un artista… Anzi, per stare sul trabattello dell’estetica post-moderna in cui pare siamo immersi, dovrei forse dire: “Sono un non-anti-artista”, affermazione che, potete immaginare, ci getterebbe in un ginepraio che, per il momento, vorrei evitare di potare, lasciando al resto di questo blog, che qui inizia la sua avventura, tempi e modi per dipanare anche questa matassa.

Heidegger scrisse: “[…] l’arte è una cosa cui è successo qualcosa”… Ecco, se dovessi descrivere quello che faccio direi che: “Provo a far succedere qualcosa alle cose”, comprese quelle cose-non-cose che sono gli esseri umani quando, per qualche motivo, cadono in una di quelle buche che ogni tanto la vita ci riserva e, da lì, chiedono aiuto.

Rispettando il mio background pedagogico potrei invece definirmi; “un educatore della materia” che affianca alla personale produzione estetica, un'arte di relazione, ossia un’arte che si concreta in interventi di cura attraverso gli strumenti e le strategie dell’arte e di interventi di formazione all'utilizzo e allo sviluppo delle abilità creative per la crescita e il miglioramento della qualità della vita di persone e organizzazioni.

Abbiamo chiamato questo approccio “CurArte”, per prendere le distanze da qualsiasi percorso che educa al fare arte o alla fruizione dell’opera d’arte, così come nulla ha a che fare con le cosiddette “artiterapie”, che di arte -a mio avviso- hanno solo la suggestione nominale.

Nei percorsi di CurArte non si contemplano immagini artistiche, non si dipinge, disegna, scrive, scolpisce, suona, danza. Nei percorsi di CurArte si fa arte del problema che ci assilla trasformandolo in opera, in opera che cura, magari utilizzando la pittura, la scrittura, la musica, la danza, le arti in genere, insomma, ma a quel punto si tratta di questioni prettamente tecniche.

Cos'è dunque “CurArte”?

CurArte è l'arte della cura, dove l'artista-educatore accompagna i suoi curati lungo il cammino del cambiamento costruttivo affinché, “possano esserci” anziché sostare in quella condizione di crisi e malessere che quando ci prende ci costringe a “non esserci”, a non sentirci, a non percepirci nel pieno della nostra vitalità generativa.

Si tratta, dunque, di un altro modo di fare arte: quello di farla con l'Altro.

Ma si tratta, anche, di un altro modo di curare (nel senso strettamente educativo di "prendersi cura di..." non certo in riferimento al concetto di guarigione), che altra cosa è: quello di farlo attraverso l'attivazione delle abilità creative e rigenerative dell'Altro, attraverso i sommovimenti tellurici che sempre l’atto del creare dispone.

L'artista discende, allora, la scala delle proprie proiezioni biografiche e del proprio narcisismo per prendersi cura dell’Altro, per farsi strumento di accompagnamento verso altri mondi e altre consapevolezze; diventando il pennello, lo scalpello, la penna con cui l'Altro inventa la sua opera, l'opera della sua cura.

Un processo ri-creativo e ri-generatvo in cui l’opera opera sulla cura e per la cura.



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